La gran parte dell’esposizione archeologica ubicata nel piano sottotetto è dedicata tematicamente alla popolazione dei Brettii ed allo sviluppo del territorio del Medio tirreno cosentino, compreso tra Belvedere Marittimo e Paola, nel corso dell’età ellenistica (IV-III sec. a.C.). Ben cinque sale ospitano il percorso espositivo, illustrato non solo dalle vetrine e dai materiali, ma anche da un ricco apparato didattico costituito da pannelli con testi esplicativi ed immagini.
La conformazione morfologica del medio Tirreno cosentino, caratterizzata da molte colline digradanti verso il mare e da una ristrettissima area pianeggiante, di fatto ha ostacolato lo sviluppo di processi di antropizzazione, favorendo solo nel IV sec. a.C. la nascita di numerosi piccoli insediamenti, mai a carattere urbano, riferibili alla presenza più o meno stanziale di genti brettie.
Le ricerche topografiche condotte in tutta l’area del medio Tirreno cosentino tra Belvedere Marittimo e Acquappesa negli ultimi anni hanno permesso di riconoscere una sessantina di siti, ubicati sui terrazzi collinari ed in punti prominenti, lungo la naturali vie di percorrenza e di tratturo.
Le ricerche topografiche ed archeologiche effettuate e la documentazione ad oggi disponibile provengono da alcuni saggi di scavo che hanno interessato un piccolo nucleo di necropoli (Treselle di Cetraro) ed almeno quattro strutture abitative, cui si aggiunge quella raccolta nelle ricognizioni intensive effettuate in un’area campione del territorio di Acquappesa e Cetraro.
Il risultato finale è un modello insediativo in cui il territorio è costellato da un sistema capillare di piccole fattorie rurali, organizzato in forma sparsa e non legato direttamente ad un insediamento maggiore, urbano e/o fortificato, ad oggi non noto.
Le fattorie occupano in maniera sistematica le colline paracostiere del territorio, a mezza costa, lungo i percorsi di tratturo, collegate ad una viabilità di crinale che le serviva. I dati planimetrici sulle fattorie provengono dai contesti indagati con lo scavo: Aria del Vento, Chiantima e Martino di Acquappesa e S. Barbara di Cetraro.
Nel territorio di Belvedere M.mo è nota, invece, la presenza di sepolture alla cappuccina brettie, i cui corredi, caratterizzati da vasi a vernice nera, a figure rosse e acromi sono databili in età ellenistica (IV-III sec. a.C.). Anche nel comprensorio di Belvedere M.mo siti e materiali archeologici suggeriscono una presenza capillare di sepolture ubicate in diverse località collinari – Pantana, Santo Ianni, Trifari, Palazza, e sul promontorio di Capo Tirone, un insediamento paracostiero con possibilità di approdo.
Ai due contesti tombali di Pantana e di Capo Tirone si riferiscono i materiali esposti nella vetrina 2 del Museo dei Brettii e del Mare, uno spaccato della cultura materiale e delle peculiarità culturali delle comunità posizionate nell’interno nel corso della fine del IV sec. a.C. (Pantana) e di quelle posizionate sulla costa, a ridosso di uno dei pochissimi promontori costieri della costa (Capo Tirone).
Soltanto le presenze rilevate in loc. Trifari, di recente indagate dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici della Calabria, sembrano potersi ricollegare ad un insediamento abitativo, una fattoria, posta sulla naturale via di penetrazione verso il Passo dello Scalone e la Montea, sull’estrema propaggine occidentale del Monte La Caccia.
Lungo la costa tirrenica sorgono già alla fine del II-inizi I sec. a.C. e sino al III-IV sec. d.C. alcuni insediamenti abitativi romani, villae che sfruttavano la naturale vocazione agricola del territorio o le caratteristiche residenziali di ozio e villeggiatura, per esportare poi, via mare o via terra, il surplus prodotto. Di queste ville restano oggi a Belvedere Marittimo pochi lacerti di strutture murarie e numerose aree di frammenti fittili a loc. Santa Litterata, o anche nelle zone Marina, Cotura, Rocca, Fontanelle, Paradiso e Vetticello.
Una situazione analoga va riferita anche al comprensorio più meridionale di Bonifati e Sangineto, dove le limitate ricerche archeologiche hanno dimostrato, comunque, una frequentazione italica diffusa e puntiforme (locc. Crucicella, S. Candido, S. Vrasi, Piano del Monaco e S. Basile di Bonifati), mentre tutto da indagare è ancora il sito, forse un abitato fortificato, posto sulla cosiddetta Civita di Sangineto, lungo la via di accesso al Passo dello Scalone e da lì verso la Sibaritide.
La vetrina 1, in bella mostra all’ingresso del percorso espositivo italico, è dedicata alle importanti scoperte archeologiche effettuate negli anni ’70 nel comprensorio collinare con splendida vista sul mare, alle spalle del centro abitato di Acquappesa, in località Serra-Manco.
Recentemente, ricerche nell’area della vallata dei Bagni, hanno evidenziato anche la presenza di numerose cavità carsiche di interesse paletnologico ed archeologico, oltre al rinvenimento, in un’area all’aperto, prospiciente la Timpa del Diavolo, presso le sorgenti delle Terme Luigiane, di un insediamento all’aperto databile tra Bronzo Recente e Finale, l’unico nell’arco tirrenico tra la valle del Noce-Lao e la valle del Savuto.
I contesti, di tipo funerario, si riferiscono a sepolture poste sulla sommità o lungo le pendici della collina di Serra, tombe a cassa litica o alla cappuccina databili intorno alla fine del IV sec. a.C. Sicuramente un nucleo di materiali è forse pertinente ad un’incinerazione, vista la presenza di ceramica a figure rosse e a vernice nera incinerata; nelle vicinanze abbiamo anche il recupero di altro materiale a vernice nera ed a figure rosse cui si associano anche un gancio di un cinturone in bronzo, parte di un set plumbeo per il consumo della carne e morsi equini pertinenti, con ogni probabilità, alla sepoltura di un personaggio di rango militare, un cavaliere.
Ma sicuramente l’oggetto simbolo delle collezioni archeologiche del Museo dei Brettii e del Mare di Cetraro è rappresentato da un bronzetto, alto 18 cm, venuto alla luce alla fine degli anni ’40 in circostanze fortuite sulla Serra di Acquappesa, una statuetta peploforica utilizzata come sostegno di uno specchio. Si tratta di un personaggio femminile, abbigliato con un chitone puntinato, datato dalla maggior parte degli studiosi alla seconda metà del V sec. a.C.
Si tratta di un unicum nel suo genere, peraltro di alcuni decenni più antico rispetto allo sviluppo insediativo dell’area di Serra, cui sembrerebbero associarsi altri vasi a figure rosse e vernice nera, oltre ad un caratteristico set in piombo per il consumo della carne, composto da frammenti di tre spiedi, da una coppia di alari e da frammenti di un candelabro e databile nella seconda metà/fine del IV sec. a.C.
Le vetrine 3-6 e 9, nelle stanze centrali del piano sottotetto dedicate al periodo italico, illustrano i corredi della necropoli di Treselle di Cetraro, indagata tra il 1997 ed il 1998, lungo la carreggiata in terra battuta della strada di collegamento Monte Serra-S. Angelo e nell’area a nord del tracciato
Lo scavo ha permesso di recuperare nel complesso 12 tombe, disposte disordinatamente in una vasta area tra il terzo quarto del IV e la prima metà del III sec. a.C., esemplificando la vita quotidiana e l’immaginario socio-economico delle genti italiche.
La necropoli di Treselle di Cetraro, tra i pochi contesti funerari indagati nel Bruzio italico, rappresenta un importante modello di indagine sulle pratiche funerarie brettie. Il sito è costituito da una serie di piccoli colli, ubicati intorno ai 600 m s.l.m., le propaggini più meridionali del tratto della Catena Costiera compreso tra i torrenti Triolo e Aron.
La necropoli presenta un evidente modello di raggruppamento per nuclei familiari, visto che alcune tombe sono limitate a piccole porzioni di terreno e che i gruppi sono intervallati tra loro da ampie zone non utilizzate
(spesso, tra un gruppo e l’altro, ci sono anche 10-15 m di distanza). Le tombe, del tipo ad inumazione semplice supina, sono caratterizzate da due diverse tipologie sepolcrali, “a cassa” di laterizi e alla “cappuccina.
Le tombe maschili presentano in genere armi, sia da difesa (i caratteristici cinturoni in bronzo) sia da offesa (punte di lancia, giavellotto) in bronzo e ferro, connotati tipici dei guerrieri italici.
La ceramica è limitata a vasi collegati al rituale del simposio, per bere e per mangiare. Il tipico set in piombo connesso al banchetto di carne, composto da spiedi, graticola e coppia di alari in piombo costituisce un’altra pratica diffusa presso le popolazioni osche. Le tombe femminili sono caratterizzate dalla presenza di ornamenti metallici di diversa tipologia, in oro, argento, bronzo e piombo (anelli, orecchini, bracciali, fibule) oltre a piccoli utensili o contenitori connessi alla cosmesi, vasi, soprattutto figurati, legati al rituale del matrimonio o all’ambito domestico.
Le vetrine 3 e 4 ospitano rispettivamente le tombe 6 e 9 e 4 e 3. La tomba 6, pertinente ad una giovane donna, risulta associata alla contigua tomba 9, caratterizzata dallo strigile e, quindi, presumibilmente maschile; entrambe risultano databili alla fine del IV sec. a.C. La prima è una sepoltura del tipo alla cappuccina, con copertura a doppio spiovente e coppi pentagonali disposti lateralmente e di colmo a sigillare le giunture della struttura.
Il corredo, tra i più interessanti dell’intera necropoli, è costituito, oltre che da un anello con sigillo in argento con un personaggio femminile con tenia che suona la lira, anche da un piatto da pesce a figure rosse, attribuito alla maniera del Pittore di Stromboli-Amantea, da una lekythos a figure rosse con erote e palmetta con girali, da ceramica sovraddipinta e con decorazione a palmette o a reticolo, oltre che da numerosi vasi per bere a vernice nera (skyphos, coppa e patera), oltre ad un’anfora ed una brocca a vernice nera, e ad un caratteristico erote in terracotta realizzato a matrice. La vicina tomba 9, maschile a giudicare dal corredo, è una tomba a cassa :il corredo è costituito da un nutrito gruppo di vasi a vernice nera riferibili al rituale, tipicamente maschile, del consumo del vino (il “simposio” di tradizione greca) skyphoi, due kylikes, coppette, coppe e patere, oltre ad una brocca, ad una lekythos a reticolo e ad un guttus. Unico oggetto afferente alla sfera personale del defunto è lo strigile in ferro, che richiama l’atletismo di tradizione greca.Nella vetrina opposta è esposta la tomba 3, una cappuccina semplice, apparentemente isolata oltre che la più recente di tutto il contesto (prima metà del III sec. a.C.) Il corredo riferibile, sulla base delle analisi osteologiche, ad un individuo di sesso maschile di 25/30 anni, è costituito da skyphoi a vernice nera con sovraddipinture stile Gnathia a decorazione vegetale, da una coppia di patere e da una coppetta a vernice nera.
La tomba 4, del tipo a cassa di tegole, riferibile ad un donna adulta, con all’interno i quattro chiodi in ferro ai quattro angoli relativi alla cassa lignea, è una delle sepolture emergenti della modesta necropoli, databile anch’essa alla fine del IV sec. a.C. Essa presenta corredo ceramico a vernice nera, un piatto acromo con un grappolo di uva fittile poggiato sopra; completano il corredo, sicuramente femminile, il set in piombo per il consumo della carne ed il candelabro/kottabos in piombo, oltre ad alcuni ornamenti in argento, bronzo e ferro (anello e fibule).
Due tombe che costituiscono tra loro gruppo sono la 11 e la 12, entrambe con orientamento N-S e databili verso la fine del IV sec. a.C. , esposte nella vetrina 5 del Museo. La tomba 11, una cappuccina forse riferibile ad un individuo di giovane età, possiede un corredo limitato a ceramica a vernice nera ed acroma, oltre a due monete in bronzo prodotte dalla zecca di Thurii con Atena con elmo crestato e Scilla e toro cozzante, forse i cosiddetti oboli di Caronte.
La tomba 12, del tipo a cassa di laterizi, è forse riferibile ad un inumato di sesso maschile, vista la presenza di una punta di giavellotto in ferro.
Un posto particolare, a livello di ricostruzione reale e virtuale 3D della sepoltura, è stato dedicato alla tomba 1 scoperta a Treselle, senza alcun dubbio la tomba più importante del contesto di necropoli. Si tratta di una tomba a cappuccina semplice, orientata E-O, riferibile ad un individuo adulto di sesso maschile (età presumibile 20-25 anni), databile nell’ultimo quarto del IV sec. a.C.
Un ricco corredo ne identifica la funzione guerriera e militare: oltre a due vasi a figure rosse, tra cui un’epichysis con scena figurata di erote che incorona un leprotto, è presente un ricco corredo ceramico a vernice nera tradizionalmente legato al rituale del banchetto,prerogativa esclusiva degli uomini (coppe, coppette, kylikes, skyphoi, patere), a cui si aggiungono forme chiuse (brocca, lebete, olpetta e guttus) a vernice nera. Completano il corredo le armi quali un bellissimo esemplare di cinturone in bronzo con gancio a corpo di cicala, una punta di giavellotto ed un coltello in ferro, oltre ad un gruppo di spiedi e ad una coppia di alari miniaturistici in piombo, connessi al consumo simbolico di carne. In particolare il cinturone, nelle sue varianti tipologiche sulla base del profilo del gancio, risulta essere il marker tipico dell’armamento base del guerriero italico, prodotto in ambito italico e diffuso in numerosi contesti lucani e brettii.
La vetrina 6 accoglie testimonianze di alcuni piccoli nuclei di sepolture, posizionate nelle pertinenze delle fattorie, sparse sia nel territorio di Acquappesa, come già visto, sia in quello di Cetraro. A titolo esemplificativo sono esposti due corredi, uno rinvenuto nel 1978 in loc. Bosco, costituito da una coppetta a vernice nera con baccellature e da una brocca acroma e l’altro, consegnato nel 1998 e proveniente da loc. Torrenova, una zona pianeggiante lungo la vallata interna del fiume Aron; entrambi sono databili orientativamente nella seconda metà del IV sec. a.C. Il corredo di Torrenova, di cui si ignorano tipologia, rituale e composizione totale del corredo, è costituito da materiale a figure rosse ed a vernice nera.
L’ultima sala del Museo ospita, attraverso quattro vetrine, le testimonianze relative all’archeologia degli abitati italici, con la definizione di un vero e proprio modello insediativo rurale, diverso rispetto alle case di tipo urbano, caratterizzate da grande cortile centrale, ambienti di rappresentanza e vani di lavoro oltre che da un’estensione significativa.
La fattoria di campagna, posta in genere in aree collinari o lungo le naturali vie di percorrenza, trova nel medio Tirreno cosentino significativi esempi nelle indagini di Aria del Vento, Chiantima e Martino di Acquappesa e S. Barbara di Cetraro, tutte databili tra fine IV ed inizi III sec. a.C. Si tratta di abitazioni di estensioni ridotte e di tecnica edilizia modesta, in genere costituite da due piccoli vani quadrati affiancati e con portico a “L” usato come deposito dei pithoi, contenitori di derrate, con strutture murarie costituite da uno zoccolo di fondazione in pietrame misto, un primo filare di ciottoli fluviali ed un secondo in laterizi, alcuni piatti e disposti in assise orizzontale, con legante di terra.
Molti dati provengono da tali strutture abitative: l’edificio localizzato sul terrazzo di Aria del Vento, a quota 300 m s.l.m., è a pianta rettangolare, composto soltanto da due vani; la struttura individuata in loc. Chiantima, sempre costituita da due vani, risulta in parte obliterata da una chiesa databile in base ai materiali al XV-XVI sec. d.C.
In loc. Martino di Acquappesa, su di un piccolo pianoro sommitale (300 m s.l.m.), è stato parzialmente indagato un unico grande ambiente a pianta rettangolare (7,50×3,50 m ed ampio 26,25 mq), abbandonato repentinamente forse a causa di uno smottamento o di una frana. Dalla scarsa presenza di pietre nei contesti di scavo dobbiamo dedurne un utilizzo prevalente a zoccolo di fondazione e che l’alzato dovesse essere in materiale deperibile, mattoni crudi, argilla o in legname. Dalla documentazione rileviamo anche che gli ambienti interni della fattoria sono coperti da tetto stramineo, costituito da materiali deperibili (frasche, legname in fascine, piccoli tronchi); copertura pesante, invece, per alcuni ambienti porticati esterni di stoccaggio, analogamente ad alcune fattorie lucane, che presentano strutture a due o più vani in asse, a pianta rettangolare, disposte intorno al cortile con un piccolo oikos, il deposito delle derrate alimentari.
Le vetrine 8-11 testimoniano la cultura materiale delle fattorie brettie del comprensorio: poca ceramica a vernice nera, usata per mangiare e bere, affianca le produzioni da mensa e da cucina, i grandi contenitori, i louteria ed i bacini, mentre uno splendido esemplare di sostegno di louterion, donato di recente al Museo e proveniente da loc. Chiusoli di Acquappesa, costituisce un nuovo elemento espositivo ad arricchire l’offerta.